Rigidità del corpo…ti sono grata!


Sottotitolo: la conquista della non conquista.

Può sembrare strano ma è proprio così, non sono mai stata flessibile, nemmeno da bambina quando mi sottoponevo ad allenamenti intensi di ginnastica artistica, ricordo piuttosto quella fitta lancinante alla schiena quando la mia insegnante voleva che tendessi di più le ginocchia nel “ponte”. Avete presente il ponte? La posizione con mani e piedi a terra e schiena inarcata. Gulp! Con la convinzione che i bambini bisogna plasmarli per ottenere non si sa bene quali risultati spesso si incontrano insegnanti che ti spremono come un limone senza alcuna concezione anatomica del funzionamento dei tuoi muscoli, delle tue articolazioni, del tessuto connettivo e tanto meno della loro interrelazione…e spingi, tira, inarca, sposta,..aiuto..più che la danza delle forme era la danza del burattino.
E comunque” la coperta era corta”…”o semplicemente era così com’era”…c’è sempre un collegamento corpo – mente nella nostra postura, nella nostra chiusura o apertura, flessibilità o rigidità…e con il senno di poi dico che bastava un accompagnamento più dolce e sensibile per ottenere dal mio corpo qualche cambiamento in più.
E ringrazio quel corpo rigido che ho imparato a conoscere ed ammorbidire piano piano, nel tempo, con un percorso di ascolto profondo e consapevolezza. Quel corpo rigido mi ha fatto gustare ogni millimetro di apertura e cedimento nella fitta trama di tessuti annodati che lo abitavano ( e abitavano la mia mente); certo i nodi non sono tutti sciolti, altrochè..ogni giorno lo stress che viviamo ha un impatto evidente nel corpo e nella mente e poi iniziamo a sentire il processo di invecchiamento in cui le articolazioni dolgono e i liquidi che le irrorano diminuiscono.
Ringrazio perchè ogni millimetro era ed é una piccola conquista interiore cioè è la conquista della non conquista, è il cedere a quello che sono oggi e che divento, in questa danza della impermanenza, ogni giorno.
Sono grata di aver incontrato insegnanti “imperfetti” anche in modo evidente nel loro corpo fisico, con limitazioni che si adattavano all’armonia della persona. Così è stato più semplice incontrare i miei limiti e provare a non sfidarli per il gusto di farcela ma piutTosto incontrarli per il gusto di conoscerli. Ed ero veramente impaurita!

Un’ insegnante yoga mi disse :”…benedici Elisabetta la tua rigidità perchè puoi “sentire” il tuo corpo, ogni millimetro fitto e denso può essere il tuo insegnante migliore…”. Mi sono commossa e in quelle lacrime qualcosa si è ammorbito, senz’altro la mia attenzione e lotta all’ “asana perfetta” e la tendenza innata a sentirmi più meno che più di chi abita il tappetino vicino.
Ora il mio corpo è cambiato..la pratica quotidiana che è anche attenzione a ciò che mi nutre: l’ etica, il cibo, le relazioni, l’amore, la respirazione, la meditazione,….modifica più o meno intensamente il corpo e la mente… e anche di questo sono grata perchè la disciplina è una disciplina se ti accorgi del percorso che stai compiendo. Riporto una frase saggia che ho letto “Prima dell’illuminazione tagliavo legna e dopo l’illuminazione tagliavo legna”. Per me sta a significare che non c’è nulla da raggiungere fuori dal rapporto con la nostra intimità e provare ad accoglierla con le sue luci e le sue ombre.
Eppure questa tendenza innata al miglioramento “perfezionistico” è qualcosa su cui fare i conti e spesso incontro insegnanti di nobili discipline che hanno fatto dell’Ego un loro rifugio. Questa è la tentazione e il rischio per tutti…trovare una nobile via in cui ripetere gli stessi schemi di pensiero e azione che condizionano il nostro quotidiano. Sento e vedo che la semplicità dell’ essere è sempre una buona cartina di tornasole. E se è genuina traspare.
Se OGGI mi approcciassi allo yoga probabilmente non comincerei, sarei spaventata dal culto del corpo e dall’ immagine che porta con sè, mi chiederei se mai potrei essere all’altezza. Il culto del corpo è come una bulimia dell’essere che straborda negli eccessi dell’ immediatezza dei sensi , di ciò che appare e del consumo veloce di ciò che ci piace, propri della società in cui siamo immersi. Non è certo cosa nuova che più si pratica più si è alimentati dal proprio compiacimento nella riuscita, ma nemmeno è cosa nuova che più si pratica più la consapevolezza di questo rischio aumenta e ci salva dalla deriva egoica che appiccichiamo come gelatina su ogni cosa. Lo yoga e la sua promozione ha poco a che vedere con le immagini continue a cui siamo sottoposti di corpi sinuosi e atletici, che senz’altro hanno messo grande dedizione e impegno per diventare come sono e ottenere “risultati”, ma non dimentichiamoci che le ASANA sono solo uno dei tanti aspetti del vivere lo yoga.
Appiattire…volendoci omologare all’asana perfetta  –  che è vero che non esiste ma dentro di noi possiamo sentire il fuoco che spinge in quella direzione –  è come togliere profondità al respiro.
Probabilmente chi incontro nel mio percorso, insegnanti e, o allievi, non ha velleità atletiche, controsioniste o acrobatiche, ma può trovare uno spazio in cui incontrare i propri limiti senza spaventarsi perchè quella difficoltà, anche negli aspetti che paiono più semplici è stata vissuta, esperita, respirata e almeno in parte… ammorbidita. E il tappetino in fondo serve anche a  questo:  diventare più capaci di stare in intimità con noi stessi e discernere cosa è per noi e cosa no, dentro la sessione yoga… e soprattutto fuori.
Guardando indietro dico: grazie corpo rigido! Se non fossi stato così non avrei oggi il vocabolario che posso usare per comunicare.

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